Opere di Cesare Pietroiusti "Lavori da vergognarsi ovvero il riscatto delle opere neglette. Una retrospettiva di Cesare Pietroiusti"

Senza titolo (ZAIRE), 1985
Grafite su tela, cm 120 x 165




Nei primi anni ’80 realizzai numerosi ingrandimenti di scarabocchi - trovati su altrui agende, quaderni e fogli sparsi - proiettandone le immagini con le diapositive e ricopiandole su tela. Non ricordo la provenienza del foglio da cui ho ricavato Senza titolo (ZAIRE): probabilmente si trattava di appunti presi da qualcuno durante una conferenza, forse di politica internazionale. All’inizio l’accumulazione di nomi su tali appunti mi sembrò originale; però, al momento di esporla nella mostra “Scusi, ero distratto” (Jartrakor, Roma, 1985), la tela risultò incoerente con le altre opere e troppo ammiccante all’estetica “concettuale”. Fu quindi scartata e, da allora, mai più mostrata ad alcuno.



Tutto quello che trovo, 1999-2009
Stampa fotografica su alluminio; cd audio
4 pannelli, ciascuno cm 140 x 100




Circa un anno prima dell’apertura del Maxxi al pubblico, un curatore venne a trovarmi e manifestò interesse ad acquisire, per conto del museo, una documentazione della performance Tutto quello che trovo, realizzata presso la galleria Base di Firenze circa dieci anni prima. Si trattava di due azioni di cinque ore ciascuna, in una delle quali descrivevo (stando fermo, bendato e con le orecchie tappate) tutto quello che mi veniva in mente e, nell’altra (in cui mi muovevo liberamente nello spazio espositivo), tutto quello che potevo vedere nella galleria vuota. La prima delle due azioni fu documentata da una decina di fotografie fatte dallo studio Cantini di Firenze, nonché da una registrazione audio integrale.
Feci quindi quattro ingrandimenti delle immagini che, pensavo, il museo avrebbe potuto disporre sulle pareti di una sala espositiva, insieme a una traccia sonora stereo con una selezione di brani registrati.
Una volta realizzati ingrandimenti e audio, il lavoro mi sembrò non soltanto autoreferenziale e narcisistico, ma soprattutto, proprio in virtù dell’ottima qualità delle fotografie, tendente a valorizzare un’estetica che era lontana dal senso della performance. Invece di venderlo al museo, lo misi quindi da parte e mai più mostrato ad alcuno.


Cento diversi marrone, 2006
Acrilico su cartoncino montato su alluminio
2 pannelli, ciascuno cm 90 x 90



Per il numero dedicato all’identità postcoloniale di “Filosofia e Questioni Pubbliche”, realizzai il progetto Mille diversi marrone, consistente in una pennellata di diverse sfumature del colore sulla pagina finale di ogni copia della rivista (stampata, appunto, in mille copie). Come contropartita per questo lavoro, l’editore mi propose l’acquisizione di un’opera.
Pensai quindi a una versione “da parete” dello stesso lavoro: cento pennellate marroni su altrettanti cartoncini da montare su pannelli. Quando li vidi ebbi la sensazione che l’opera non solo non rispecchiava in alcun modo la mia ricerca artistica, ma che somigliava ad alcuni noti dipinti di Damien Hirst.
Da allora questi due pannelli sono rimasti nascosti nel mio studio: ho avuto qualche difficoltà a ritrovarli, e a tratti ho persino pensato che forse li avevo buttati via.


Progetto per Ipotesi di identità – Materia Identica, 1978-1996
Matita su carta
cm. 50 x 70



In occasione della mostra “Eventualismo: La teoria delle differenze” (Associazione culturale Arte in Scena, Roma, novembre 1996) preparai un disegno in cui ricostruivo un’installazione che faceva parte della mia prima personale (Jartrakor, Roma, 1978). Prima di esporlo qualcuno mi fece notare che nel disegno la prospettiva era vistosamente sbagliata. Me ne vergognai e non lo esposi più. A pensarci bene, anche definirlo Progetto è sbagliato, poiché il disegno è stato fatto a posteriori rispetto all’installazione originaria.



Senza titolo (carta assorbente), 1988-1989
Stampa fotografica su legno
2 pannelli, ciascuno cm 120 x 163 circa



Fra il 1987 e il 1990 ho realizzato numerosi “foto-oggetti” tridimensionali: versioni ingrandite di oggetti qualunque (pacchetti di sigarette, sottobicchieri, monete ecc.), segnati dall’uso o da varie forme di manipolazione anonime. Per la mostra personale allo studio Casoli di Milano (marzo 1989), in cui presentai alcune di queste sculture, avevo preparato gli ingrandimenti fotografici dei due lati di un foglio di carta assorbente usato, pensando di disporli su due pareti dello spazio espositivo, che altrimenti sarebbero rimaste vuote. Vedendola allestita però, l’opera sembrò contraddire l’impianto generale della mostra, poiché in tutti gli altri casi recto e verso facevano parte dello stesso oggetto. I due pannelli furono quindi rimossi, e mai più esposti da allora.

Senza titolo, 2006
fornelli da campeggio, bollitori, acqua



L’“Angelo Mai”, ex-convento in via degli Zingari, era un centro sociale occupato che, nei primi anni 2000, ha ospitato numerosi eventi artistici. Nel 2006 il Comune di Roma intimò agli occupanti di sgomberare i locali entro il 30 aprile. Per tutta risposta la notte dell’ultimatum fu organizzata una grande festa con la partecipazione di artisti, musicisti e performer: a me fu chiesto di concepire un’installazione per i sotterranei dell’ex-convento. Pensai ad un lavoro sonoro: disporre, lungo i cunicoli, dei fornelletti accesi che avrebbero dovuto scaldare l’acqua all’interno di alcuni bollitori fino a farli fischiare. Quando descrissi questa mia intenzione a una curatrice, mi fu fatta notare la grande similitudine con l’opera di Michelangelo Pistoletto Orchestra di stracci. Tale evidenza creò grande imbarazzo in me e, all’ultimo momento, decisi di realizzare un’opera del tutto diversa.   

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